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L'uso strumentale dei diritti umani e della libertà di culto: il caso americano

2024-07-18 18:00

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L'uso strumentale dei diritti umani e della libertà di culto: il caso americano

Come in parte già raccontato, sul finire di giugno il Dipartimento di Stato USA ha rilasciato il suo resoconto annuale sulla libertà di culto nel mond

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Come in parte già raccontato, sul finire di giugno il Dipartimento di Stato USA ha rilasciato il suo resoconto annuale sulla libertà di culto nel mondo. Seppur in modo sommario, tende a descriverne la situazione in ogni paese dove Washington ne veda una violazione, sia in base ai propri principi di diritto sia in base a convenzioni e trattati internazionali su cui ha potuto far valere la propria influenza politica data dal ruolo di superpotenza con decenni di predominio internazionale. Vi è certamente molto diritto di matrice anglosassone e statunitense, in materia soprattutto di diritti umani e tra questi anche di libertà religiosa, in varie convenzioni, trattati e dichiarazioni adottati nel corso degli anni da istituzioni sovranazionali come il Consiglio d'Europa, l'Unione Europea, l'Organizzazione degli Stati Americani (OAS), l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), o ancora l'Unione Africana, in precedenza Organizzazione per l'Unità Africana. Spesso e volentieri in questi ambiti giuridici gli USA hanno giocato un ruolo ben oltre quello di “primus inter pares”, facilitato anche dall'avere intorno alleati ben disposti o comunque con ben poche possibilità negoziali. Tutti questi documenti il resoconto del Dipartimento li cita non a caso anche con una certa soddisfazione, avvalendosene come corroborante per le sue valutazioni e pagelle in merito al comportamento dei vari Stati che prende in esame.

 

Sebbene il documento in sé tenda per il resto ad esser piuttosto vago, vincolandosi all'onere del “politichese”, non sfuggono comunque una serie di nazioni che puntualmente di anno in anno si trovano “bocciate” dal Dipartimento di Stato che, di là da tutto, è soltanto il Ministero degli Esteri degli Stati Uniti, benché con grandi poteri sul resto del mondo derivanti dal ruolo di superpotenza del proprio paese, e non certo un organismo internazionale con un'insospettabile imparzialità. Immaginiamoci se il Ministero degli Esteri di qualche altro paese, magari proprio di uno di questi tanti paesi presi nel mirino, facesse qualcosa d'analogo citando gli Stati Uniti e molti suoi alleati: non c'aspetteremmo certo reazioni favorevoli da Washington e forse nella migliore delle ipotesi l'unica risposta sarebbe soltanto il silenzio e la censura stampa da parte dei media occidentali. Quest'ultima cosa in effetti avviene, quando ad esempio viene pubblicato l'altrettanto annuale rapporto sulle violazioni dei diritti umani negli Stati Uniti e nel mondo da parte del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese! 

 

Come si potrà ben notare dal documento, che è tradotto anche in italiano, numerose sono le violazioni verso le donne, i minori o di diversa fede od etnia da parte delle istituzioni statunitensi, e del resto se qualcuno avrà un po' di memoria ricorderà ad esempio i disordini scoppiati in varie parti del paese dopo l'assassinio di George Floyd come poi anche di altri afroamericani, o ancora casi giudiziari piuttosto controversi pure in materia “religiosa”, come il fenomeno di QAnon, la setta dei VIP di Hollywood (senza nulla togliere a Scientology, che vi mantiene comunque il suo primato ed analogamente riscuote spesso negli stessi USA vari scandali e polemiche) NXIVM o ancora gli attentati nelle sinagoghe da parte della setta degli “Ebri Neri”. Parliamo in questo caso di fatti che non sono sempre contemplati in quel documento, ma che rientrano comunque nell'ambito di quelli citati e dei quali il pubblico italiano ha probabilmente maggior conoscenza in virtù di quanto solitamente passatogli dalla cronaca mainstream.

 

Insomma, se nel suo documento elaborato dal Dipartimento di Stato USA si parla ad esempio, sia pur a sommi capi, soprattutto delle presunte violazioni nelle libertà di culto in Cina, coi casi dello Xyzang-Tibet o dello Xinjiang, del Falun Gong o dei cristiani soprattutto protestanti ma anche cattolici, o ancora con più enfasi della Chiesa di Dio Onnipotente (che a quanto pare sta tornando a riscuotere negli ambienti strategici americani un rinnovato favore, e questo guarda caso se ricorderete rientra proprio in quanto già mesi fa immaginavamo); o ancora di altri paesi giudicati negativamente da Washington per un loro mancato allineamento alle sue politiche, come il già ricordato caso dell'Eritrea, o ancora il Pakistan, la Russia e via dicendo; non di meno si fornisce la pagella anche ai propri spesso più fedeli alleati, come ad esempio la Francia, il Giappone (dove gli USA sono molto in apprensione per le sorti della Chiesa dell'Unificazione) o ancora lo stesso Taiwan, che per Washington sarebbe proprio il “primo della classe” se non fosse per quella brutta storia che già avevamo ricordato dei Tai Ji Men. 

 

In questi ultimi casi il significato è quello di adottare una linea più morbida, per ricevere dal “professore” il grado di “alunni” più lodevoli. Insomma, pagelle e giudizi non richiesti, e che esprimono pure una certa tendenza ad ingerire negli affari altrui, pure questa un'altra abitudine certamente non richiesta e poco gradita: se qualcuno poi decide di risponder per le rime, non ha tutti i torti e magari fornendo le proprie ricerche permette pure di farsi un giudizio su quanto rispettati quegli stessi diritti siano poi negli stessi Stati Uniti. Il problema, in generale, è sempre uno: i “diritti umani all'americana”, non solo ma anche la cosiddetta “libertà religiosa”, sono sostanzialmente adottati da Washington come strumento di potere e non di rado anche di prepotenza politica e diplomatica nelle questioni interne altrui. Attraverso letture tendenziose ed il più delle volte apertamente mistificate, si mira semplicemente a perseguire il consueto disegno di demonizzazione politica altrui e di legittimazione della propria strategia d'ingerenza nei suoi affari interni: cosa che, ovviamente, Washington non permetterebbe mai nei suoi confronti, a parti rovesciate.


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