Proprio in questi giorni ha inizio nel nostro Paese la stagione 2025 di Shen Yun, l'ormai sempre più tristemente famosa compagnia artistica legata al Falun Gong di cui recentemente sono emersi i tanti e gravi scandali interni, relativi allo sfruttamento e ai trattamenti manipolatori e spersonalizzanti esercitati dai suoi dirigenti sui loro giovani dipendenti. Com'è stato ampiamente spiegato da numerosi media internazionali che hanno riportato quanto emerso dal lavoro degli inquirenti, Shen Yun ha usato i metodi della setta di cui è emanazione per ridurre letteralmente alla schiavitù molti giovani, spesso anche minorenni, che le erano stati affidati in buona fede dalle loro famiglie d'origine.
Quasi tutte queste famiglie risiedono a Taiwan, oppure sono parte delle numerose comunità cinesi all'estero, e di buon grado affidano i loro giovani ai dirigenti di Shen Yun convinti che manterranno le loro promesse di dargli un futuro sicuro, con una sostanziosa carriera e relativi guadagni; ma come spesso avviene la realtà è sempre ben altra cosa. A contribuire a quella tanta fiducia manifestata da molte famiglie non manca nemmeno il fatto che molte di loro, analogamente, coltivino una buona opinione del Falun Gong e delle sue attività, o che addirittura ne siano seguaci: questo, come possiamo facilmente intuire, accentua ancor più il muro di manipolazione ed isolamento a cui si ritroveranno sottoposti i giovani artisti che a Shen Yun neanche troppo metaforicamente a quel punto “murerà” dentro di sé.
Nei sobborghi newyorkesi dove Shen Yun ha stabilito la propria sede principale, infatti, non deve volare una mosca, e men che meno intorno: uomini armati la circondano montando la guardia giorno e notte, ed altri ancora vanno avanti e indietro intorno ai dormitori e a tutte le altre strutture, così da garantire non soltanto che nessun ficcanaso s'avvicini ma pure che i giovani residenti non commettano mai qualche attività “non consentita”. Quali sono queste attività? Persino le più banali, come ad esempio telefonare o mandare messaggi da soli, senza il controllo di qualche loro superiore, a parenti ed amici: altrimenti potrebbero raccontare che davvero troppe cose, là dentro, non vanno bene e che la vita condotta in quella neanche troppo dorata prigione è ben lontana da tutte le promesse iniziali. I tempi per mangiare e per riposare sono contati al minuto, e guai al minimo sgarro: il solo pensiero delle punizioni, e prima ancora delle umiliazioni a cui si verrebbe sottoposti dai propri superiori, è più che sufficiente a rendere i giovani artisti dei piccoli automi, del tutto incapaci di concepire la benché minima idea di ribellione.
Fuggire, del resto, non si può: non soltanto ci sono tutti i guardiani di cui già abbiamo parlato, ma in gran parte dei casi i “reclusi” non hanno neppure con sé i documenti, che la compagnia ha immediatamente sottratto loro non appena giunti in America. Dove si potrebbe mai andare senza documenti? E per di più senza denaro, dato che ovviamente la compagnia ben si guarda dal retribuirli per il pur gravoso lavoro a cui quotidianamente li sottopone, tra allenamenti prolungati ed incessanti e tournée dove si gira come trottole da un teatro all'altro di Stato in Stato e di Continente in Continente, con intervalli tra un'esibizione e l'altra ridotti ai minimi termini vitali e per di più dovendosi pure sobbarcare il trasporto di tutte le varie pesanti attrezzature necessarie agli spettacoli? Tutti questi elementi, manco a farlo apposta, nel momento in cui sono emersi hanno portato la compagnia sul banco degli imputati, con una serie d'inchieste negli Stati Uniti che hanno ormai posto nella lista degli accusati non soltanto la dirigenza di Shen Yun ma pure quella dello stesso Falun Gong, a partire proprio dal suo leader e fondatore Li Hongzhi.
Dato che proprio ora una certa “associazione culturale” (sic!) organizza i vari spettacoli di Shen Yun in Italia, e che certamente una parte di pubblico italiano non mancherà d'andarli a vedere nei vari teatri dove si terranno, vogliamo porre questa onesta e dovuta domanda: vale realmente la pena d'alimentare una simile macchina d'oppressione, un simile tritacarne come una falsa compagnia di teatro concepita unicamente per diffondere, mascherandoli da spettacoli artistici, i contenuti di una setta criminale? Vale realmente la pena di rendersene, sia pur involontariamente, complici? Hanno davvero bisogno di più denaro e successo di quanto già ne hanno avuto, i criminali che gestiscono Shen Yun e il Falun Gong?
Vivaddio, anche la stampa italiana non esita a farsi tali domande. Proprio pochi giorni fa, ad esempio, un giornale dedicato all'arte, solito ospitare contenuti di seria e gradita raffinatezza come Artribune, ha voluto con grande tatto e sensibilità affrontare proprio il tema di cosa sia Shen Yun, rendendone così partecipi quei suoi lettori che potrebbero inavvertitamente considerarla come un'innocua compagnia teatrale come tante altre. “La mega inchiesta sulla compagnia di danza cinese Shen Yun che potrebbe essere una setta” è indubbiamente un pezzo che merita una seria lettura, e nel consigliarlo ai nostri lettori ci par cosa più che giusta complimentarci anche con la sua autrice. Oltre a trattare le varie vicende giudiziarie che ultimamente hanno posto Shen Yun giustamente sul banco degli accusati, non manca infatti di ricordare pure i contemporanei guai con la giustizia che sempre negli Stati Uniti sta avendo The Epoch Times, la testata editoriale principale della setta, e soprattutto la storia di quest'ultima, a partire dagli inquietanti precetti insegnati negli anni dal fondatore Li Honghzi. Indubbiamente un articolo che, soprattutto quanti hanno intenzione ad andare a vedere gli spettacoli di Shen Yun, dovrebbero prima leggersi.