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Siria, Ucraina e non solo: il connubio tra violenze sociali e governative in campo religioso

2025-01-02 10:00

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Siria, Ucraina e non solo: il connubio tra violenze sociali e governative in campo religioso

Lo scorso 18 dicembre il Pew Research Center ha pubblicato il suo rapporto annuale sulle limitazioni patite dalle varie minoranze religiose in ogni pa

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Lo scorso 18 dicembre il Pew Research Center ha pubblicato il suo rapporto annuale sulle limitazioni patite dalle varie minoranze religiose in ogni paese al mondo. Il suo metodo statistico risulta piuttosto accurato perché tende a misurare le restrizioni governative e le ostilità sociali registratesi in ogni paese collocandole in un arco storico che abbraccia almeno i cinque anni precedenti: in tal modo è possibile comprendere se la situazione civile ed umanitaria di molte minoranze, in questo come in quel paese, sia migliorata nel corso del tempo oppure no. Inoltre, a sottolinearne il metodo scientifico, il Pew Research Center tende a valutare due importanti elementi statistici come l'Indice delle Restrizioni Governative (GRI) e quello delle Ostilità Sociali (SHI), che in molti contesti tendono inevitabilmente ad intersecarsi l'uno sorreggendo l'altro. Infatti, mentre l'Indice delle Ostilità Sociali indica i fenomeni di violenza a danno di minoranze religiose causati in un dato paese da gruppi o soggetti privati, quello delle Restrizioni Governative guarda ai provvedimenti coercitivi ivi adottati dalle istituzioni pubbliche e governative, in più di un'occasione avvalendosi proprio di quei precedenti fatti di violenza sociale privata o comunque strumentalizzandoli.

 

Facciamo un esempio pratico, basato sull'attualità. Lo scorso 8 dicembre in Siria è venuto meno, dopo una lunga agonia, il vecchio Stato laico che per decenni, nei suoi limiti e per di più con una grave crisi militare interna che lo dilaniava fin dal 2012, era comunque riuscito a garantire la sopravvivenza di una società assai complessa per composizione etnica e confessionale. Sin da subito sono aumentati gli episodi di violenza sociale a danno di radicate e storiche minoranze religiose come gli alawiti e i cristiani, episodi che del resto anche nei dodici anni precedenti non erano certamente stati trascurabili per entità, visto proprio il già ricordato conflitto generato nel paese dai vari gruppi fondamentalisti di matrice sunnita. Le nuove autorità, formate ora proprio da quegli stessi gruppi fondamentalisti, ovviamente hanno subito promesso di punire i colpevoli e di far sì che mai più tali episodi si ripeteranno, ma ad oggi non s'hanno affatto notizie che confermino quelle tanto buone intenzioni; al contrario, le uniche che ci giungono dalla Siria parlano di un paese dove gli episodi di violenza sociale a danno delle varie minoranze religiose alawite, cristiane e druse altro non fanno che aumentare, evidentemente ricevendo proprio un certo qual appoggio o favore da parte di quelle nuove autorità (guarda caso fondamentaliste). 

 

Insomma, i nuovi governanti ben si guardano dal toccare i loro miliziani, anche perché intuibilmente ciò le indebolirebbe mentre si trovano alle prese con un crescente scontro con altre forze attive sul campo come le sigle filoturche o quelle curde; e così, in una società come quella siriana dove la radicalizzazione religiosa sta apparendo di giorno in giorno sempre più estesa, non risulta difficile pensare che alle ostilità sociali che il Pew Research Center indica come SHI s'associno oggi anche le restrizioni governative indicate come GRI. Tant'è che non mancano nemmeno esempi di restrizioni governative vere e proprie, come il veto agli sciiti ad entrare nella Grande Moschea degli Omayyadi di Damasco subito espresso dal nuovo leader al-Jolani una volta entrato nella Capitale, o ancora la sua decisione d'adottare per le scuole siriane un nuovo programma didattico, strettamente teso a diffondere nel paese una cultura sempre più islamo-radicale. 

 

Come confermato da tutti questi esempi, e così pure dallo stesso Pew Research Center, gli indici GRI e SHI tendono spesso ad andare mano nella mano, l'uno spalleggiando l'altro così da darsi reciprocamente il pretesto della propria azione ed esistenza. Non mancano tuttavia esempi, e sono in verità piuttosto numerosi, di paesi in cui a risultare alto possa essere un indice rispetto ad un altro. Molti paesi in cui è alto l'indice SHI, per esempio, sono caratterizzati da gravi conflitti interni, nei quali lo scontro interreligioso può essere stato un movente come una conseguenza. Sotto quest'aspetto quanto visto nel nord della Nigeria, nelle lunghe guerre civili in Sudan o negli scontri in alcune aree del Pakistan o del Myanmar può prestarsi a valutazioni davvero assai controverse: “è nato prima l'uovo o la gallina?”. I grafici elaborati dal Pew Research Center appaiono allora piuttosto interessanti, perché ci forniscono numerosi esempi spesso ignoti a molto pubblico occidentale, o magari non sufficientemente conosciuti o “sospettati”: ad esempio la vicina guerra in Ucraina, che indubbiamente vede un forte impegno della NATO e dell'UE nel sostenere uno dei contendenti, il governo di Kiev, è una guerra connotata anche da un forte insieme di violenze sociali e governative di stampo religioso. 

 

Nel caso di Kiev, che indubbiamente per l'UE è un alleato da sostenere costi quel che costi, abbiamo già più volte raccontato di certi gravi fenomeni di discriminazione ed intolleranza religiosa, o d'arbitrarietà delle sue istituzioni nei confronti d'alcune specifiche minoranze religiose, registratisi soprattutto negli ultimi due anni, con la recrudescenza della guerra e il crearsi nel paese di un governo con caratteristiche sempre più illiberali. Tuttavia, se è vero che dal 2022 Kiev ha segnato un'esplosione in materia di violenze religiose, gli indici elaborati dal Pew Research Center tengono conto di tutto l'ultimo quinquennio, dandoci testimonianza che pure prima dell'intervento russo la situazione nel paese fosse tutt'altro che rosea. Anche in questo caso i lettori più affezionati ricorderanno certi articoli in cui parlammo di quanto visto in Ucraina almeno fin dai fatti di Piazza Majdan del 2014. L'aumento dell'indice SHI, anche in Ucraina, ha propiziato ad un certo punto l'aumento dell'indice GRI, portando in modo acclarato le istituzioni governative ad identificarsi nell'azione dei gruppi più estremisti del paese, fino ad assecondarne ed adottarne gli obiettivi. Ne è così nata una spirale in cui le violenze sociali e quelle governative s'alimentano e s'incoraggiano le une con le altre.

 

Altri esempi afferenti ai grafici suddetti possono essere quelli di certi paesi mediorientali come l'Iraq, la Libia o Israele, di cui pure parlammo in passato e che provano come, nella cornice mediorientale, non sia certo la sola Siria oggi a doverci preoccupare. Del resto, la guerra che è in atto a Gaza, in Cisgiordania, in Libano e nello Yemen, con Israele come loro comune avversario belligerante, è un fatto che occupa la prima pagina d'ogni giornale quantomeno dal 7 ottobre 2023 a questa parte, a tacer di tutto quel che già si vide prima. L'azione politica e militare di Israele e degli USA suoi grandi alleati, insieme ai partner minori europei, è stata in tutti questi anni volta a sfruttare la contrapposizione in Medio Oriente tra settarismi e radicalismi sempre più estesi ed influenti in modo da poter vincere una vera e propria “guerra di civiltà” (di là poi dal vincerla o meno: cosa in sé, realisticamente, piuttosto impossibile giacché dandosi a tali giochi nessuno mai davvero vince e tutti semmai per un verso o per l'altro perdono, anche disastrosamente). 

 

La guerra all'Iraq del 2003 e quella alla Libia del 2011, di là dall'aver garantito o meno agli USA gli obiettivi che si prefiggevano, hanno certamente precipitato due paesi e le regioni limitrofe nel baratro del caos politico, nonché interreligioso. Soprattutto in Iraq, dove esisteva una società laica e multiconfessionale come in Siria, il disastro è stato epocale. Senza contare che gli obiettivi che gli stessi USA si prefiggevano (sostituire dei governi fuori dal loro controllo con altri più compiacenti, o ancora precipitare quei paesi in un caos che li rendesse quantomeno ingovernabili o sconvenienti ai loro alleati strategici, come le nuove economie emergenti, così da preservare nel tempo il vantaggio politico ed economico che avevano su quest'ultime) non sempre sono risultati tanto duraturi: quanto poi visto proprio in Iraq e in Libia, e soprattutto quanto è in atto ora, pare ancor più dimostrarlo. I due paesi lentamente si riaggregano e, quel che per Washington forse è anche peggio, s'avvicinano proprio ai suoi "avversari strategici". 

 

Non di meno si potrebbe pure dire per l'Afghanistan, dove le divisioni interne all'Islam locale sono sempre state numerose e decenni d'azioni destabilizzatrici avviate col sostegno ai Mujaheddin in funzione antisovietica da parte della CIA almeno sin dal 1978 hanno infine causato una spirale conclusasi nel 2020, con l'espulsione degli stessi USA e della NATO dal paese in cui inevitabilmente erano poi finiti per essere risucchiati: un monito impartito dalla storia che, come diceva Antonio Gramsci, “insegna, ma non ha scolari”.

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