Non è affatto facile tracciare una storia del WUC (World Uyghur Congress), la più importante tra le varie organizzazioni che compongono la vasta pletora della cosiddetta “Diaspora uigura”, definizione con cui in certi settori della politica e della pubblicistica occidentali si suol contrabbandare un ben più esteso ed eterogeneo universo di rifugiati ed espatriati provenienti da più aree e paesi dell'Asia Centrale. Ufficialmente questa organizzazione si batterebbe per i diritti umani del popolo uiguro, minoranza etnica turcofona e a maggioranza musulmana che vive nella Regione Autonoma cinese dello Xinjiang, dando voce e rappresentanza a molti uiguri residenti all'estero e denunciare presso l'opinione pubblica occidentale e mediorientale gli orrori di un “genocidio delle popolazioni uigure e musulmane nello Xinjiang” che in realtà nessuno dei tanti osservatori internazionali indipendenti che nel corso degli anni hanno perlustrato la regione sono mai riusciti a riscontrare, trovandosi di volta in volta soltanto a poterlo smentire. Insomma, un'organizzazione che fa tanta “fuffa”, che spaccia per prove quelle che in realtà sono soltanto accuse giornalistiche di parte, proprio come fanno altri loro connazionali che a nome delle varie organizzazioni Free Tibet parlano sempre di misteriosi e puntualmente sempre smentiti “genocidi tibetani”.
Un tale diceva sempre “calunniate, calunniate, qualcosa resterà”. Ed in effetti ciò forse spiega perché il WUC, al pari di molte altre entità consimili, fin dalla sua fondazione nel 2004 a Monaco di Baviera ad oggi non abbia mai perso un colpo: segno che tutta quella sua propaganda risulta pur sempre funzionale a “qualcuno”, tanto da esser disposto di volta in volta a foraggiarla con cospicue e puntuali iniezioni di denaro, nonché con abbondanti sostegni politici, istituzionali e mediatici, pur di continuare a vederla. Così il WUC ha potuto negli anni far strada entrando nei consessi “che contano”, ad esempio presentando propri rapporti all'ONU, dove ha trovato l'interessato ascolto e il prevedibile voto a favore di molti paesi e così pure di molte altre organizzazioni non governative o di ambito umanitario. Così pure è avvenuto in molti singoli parlamenti europei ed occidentali, o ancora al Parlamento Europeo e al Consiglio d'Europa, dove cavalcando i suoi rapporti molti esponenti politici comunitari hanno potuto far passare dei provvedimenti sanzionatori nei confronti delle autorità cinesi, giudicate responsabili di tale misterioso “genocidio”. Non è purtroppo la prima volta che vediamo augusti consessi istituzionali internazionali venir presi per il naso, o fingere di farsi interessatamente prendere per il naso, adottando mozioni o persino pacchetti di sanzioni contro questo o quel paese: ricordiamoci che qualcuno, oggi non più in vita, tanti anni fa riuscì a metter piede persino al Consiglio di Sicurezza ONU con una fialetta vuota, ma che a suo dire conteneva un campione delle misteriose armi chimiche di Saddam. E guerra fu.
Fortunatamente il Parlamento Europeo o il Consiglio d'Europa non possono arrivare fino a quel punto, ma in compenso sfruttando le fonti propagandiste spacciate dal WUC i loro ambienti politici maggiormente sinofobi hanno potuto far passare provvedimenti volti a boicottare in varie forme le relazioni tra Cina ed Unione Europea, esattamente come altri (ma talvolta pure gli stessi) sono riusciti a far altrettanto per quelle con molti altri paesi, asiatici, africani o latinoamericani che fossero. Non ci sono soltanto le già gravi sanzioni alla Russia, peraltro motivate sempre da accuse a cui ben pochi comuni cittadini danno in realtà credito, avendo anche in tal caso capito che sono soltanto delle “fregnacce” mosse da ambienti politici e strategici che sulla rottura di certe relazioni internazionali basano i loro interessi, economici e non solo. Così abbiamo visto la Commissione Europea adottare pacchetti di sanzioni contro la Cina anche in merito ai prodotti provenienti dallo Xinjiang, che a sentir certi ricercatori che impugnano prove fabbricate sarebbero realizzati sfruttando in campi di lavoro e di prigionia uiguri e kazaki internati unicamente per la loro appartenenza etnica e religiosa. Insomma, tutte le scuse son buone quando si tratta di portar avanti ben altri e più inconfessabili interessi.
Negli ultimi tempi, tuttavia, quel “qualcuno” che per vent'anni è stato alla base delle fortune del WUC come di tutte le altre organizzazioni uigure sembrava essersi distratto un po': la verità è che ha a sua disposizione anche tante altre pedine da giocare, per mettere i bastoni tra le ruote alla Cina, come del resto ne ha pure altre ancora per farlo ad altri paesi, e così per qualche anno ha preferito mandar avanti proprio loro, in attesa di richiamare in servizio il WUC, (nonché l'International Uyghur Forum (IUF), l'Hasene International o l'Unione delle ONG del Turkestan Orientale, ecc) che intanto è rimasto per un po' in panchina. Quel “qualcuno”, tanto per uscire dalla vaghezza, è l'insieme delle varie agenzie d'intelligence di paesi occidentali come gli Stati Uniti, il Canada e l'Inghilterra, che in collaborazione con quelle d'altri paesi dell'Europa continentale e del Medio Oriente hanno saputo sviluppare nel tempo un solido "consorzio" in grado di pompare la “causa uigura” con massicci sostegni non soltanto economici. Stati Uniti ed Inghilterra hanno insomma sfruttato le varie organizzazioni uigure sul loro libro paga, coi relativi ricercatori e propagandisti, per portare avanti la loro strategia di scollegare l'Unione Europea dalla Cina, così da comprometterne una maggiore cooperazione oltre ovviamente all'avanzamento della Belt and Road (BRI), o “Nuova Via della Seta” com'è maggiormente nota nel lessico nostrano. Sempre agitando altre organizzazioni consimili, precedentemente create all'uopo, hanno fatto altrettanto per compromettere i rapporti tra Unione Europea e Russia, e così pure nel corso degli anni con altri paesi ancora come ad esempio la Libia, la Tunisia, il Nicaragua, il Venezuela, l'Iran, l'Iraq, la Turchia (che, ironia della storia, per molto tempo era pure stata una valida collaboratrice dei governi occidentali e delle loro agenzie d'intelligence proprio nel portare avanti la “causa uigura” in Asia Centrale, salvo poi cominciare a prender le distanze avvicinandosi un po' troppo proprio ai “nemici”), e così via con numerosi altri esempi.
Grazie a quel corposo sostegno durato vent'anni, tuttavia, s'è registrato un gran fiorire d'organizzazioni uigure, dei generi più disparati: umanitarie, giudiziarie, mediatiche, politiche, religiose, non ultimo persino militari. Anzi, soprattutto militari, perché il grosso di tutto quel denaro ricevuto tramite reti formali ed informali dalle agenzie d'intelligence occidentali, va a finire in attività terroriste e sovversive in varie aree dell'Asia Centrale, non soltanto nello Xinjiang. Dal Caucaso fino a ben più ad est di Urumqi numerose sono le sigle terroriste che vanno a ricollegarsi a questi movimenti nazionalisti, composti da una percentuale risicatissima di persone in rapporto al totale della popolazione: si pensi alle tante guerre caucasiche, dai primissimi Anni ‘90 in poi, e così pure a quelle più o meno contemporaneamente avvenute nel resto dell’area centrasiatica, o ancora nei Balcani, dove si videro le sanguinose propaggini di un certo islamismo in armi. Insomma, grandi capitali che se ne vanno in armi ed attività terroriste, ma anche in propaganda, per presentarla come tutt'altra cosa o a seconda del caso per negarla completamente; o ancora per promuovere la causa di quei veri e propri miliziani, dipingendoli come dei puri perseguitati al pari di coloro che, giunti in Occidente, ne spalleggiano le ragioni raffigurandosi come miracolosamente scampati alla persecuzione e al martirio. Tra le varie narrazioni diffuse da questa propaganda che deve coprire le azioni e le ragioni del terrorismo, non mancano anche quelle volte a diffamare le modalità con cui quei miliziani, quando catturati, vengono ricondotti attraverso un percorso sociale e psicologico alla condizione di persone libere dall'indottrinamento fondamentalista, così da poter poi ritornare nella società come onesti, liberi e responsabili cittadini.
Chi opera in quel quadro di fondamentalismo legato all'Islam politico, infatti, si trova del tutto soggetto a dinamiche settarie ben note e più volte espresse, che ne fanno una vera e propria marionetta armata dei propri manovratori. Per tale ragione, una volta catturato, dev'essere riabilitato in modo da poter ritornare in futuro nella società come onesto cittadino, attraverso un percorso di “deprogrammazione” non diverso da quello a cui vengono sottoposti gli altri membri di qualsiasi altra setta pericolosa o criminale, di qualsivoglia matrice religiosa o politica. Nel caso dello Xinjiang non s'hanno infatti assolutamente prove di campi di lavoro o prigionia, come riscontrato dalle ispezioni condotte in ogni area della regione da osservatori internazionali di numerosi paesi, musulmani e non, giunti più volte nel corso degli anni. Basti pensare che le immagini aeree di tali presunti “lager" (o “laogai”, come amano spesso definirli i ricercatori al soldo delle organizzazioni uigure e non solo loro, riferendosi a delle vecchie istituzioni carcerarie sparite ormai da decenni, tanto che quando nel 2013 vennero ufficialmente soppresse dal diritto locale non ve ne era già più da tempo alcuna traccia), mostrate con grande enfasi retorica dagli esponenti di tali organizzazioni e dai politici con loro compiacenti, erano in realtà di stabilimenti e complessi residenziali; ed è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare. E' facilmente intuibile che chi le abbia prese per buone l'abbia fatto solo per finta, perché così conveniva ad altri suoi intuibili ma meno pubblicamente ammissibili interessi.