Ricordavamo, nello scorso articolo, di come a un dato punto le varie organizzazioni uigure siano state temporaneamente messe in panchina dai loro potenti protettori e datori di lavoro, a favore d'altri loro giocatori in quel momento più idonei a scendere in campo. Del resto, nel vasto mondo dei movimenti politici e religiosi a carattere più o meno settario, creati e cavalcati al fine d'alimentare problemi in casa altrui (e non solo), quello d'alternare tra loro i vari giocatori a propria disposizione è un fenomeno politico ed operativo invero assai frequente. In decenni d'attività su paesi identificati come reali o potenziali rivali, le varie agenzie d'intelligence occidentali hanno messo in piedi potenti reti politiche, associative, economiche e religiose, e non ultimo terroriste o militari, composte da partiti, sindacati, sette religiose, fondazioni, ONG, e sigle dedite al terrorismo e alla lotta armata di matrice politica o religiosa di stampo estremista. Si tratta quindi di decenni di costanti investimenti, ai quali non s'è certo disposti a rinunciar tanto a cuor leggero, col solo risultato di vanificare anni ed anni di sforzi economici ed operativi. Men che meno quelle stessi reti sono a loro volta tanto disposte a lasciarsi per sempre abbandonare, dato che ciò implicherebbe la loro scontata fine. Così, onde prevenire un problema di per sé già assai improbabile, fanno di tutto da una parte per mantenere vivi i contatti con le loro agenzie di riferimento e dall'altra per creare nuovi pretesti affinché anche in futuro esse abbiano sempre bisogno di loro. E' come un meccanismo che s'autoalimenta, una sorta di moto perpetuo dove non sempre si comprende, almeno non subito, chi per primo in questa o in quella particolare circostanza abbia per primo preso l'iniziativa.
Ciò si spiega anche per le tante reti di collegamento informale dai vertici alle basi, in una complessa struttura gerarchica, comunicativa ed operativa, composta da tanti schemi a piramide, spesso sovrapposti tra loro e suddivisi al loro interno da altri analoghi elementi strutturalmente assai complessi: più complessa è la struttura, più difficile è riuscire a coordinarla e soprattutto ad evitare plurime sovrapposizioni e dispersioni. In tal modo, però, ci ritroviamo al cospetto di grandi divisioni e differenze procedurali tanto ai vertici quanto alle basi, e così pure in tutti i canali e le strutture intermedie: possiamo facilmente immaginarci cosa ciò comporti in termini pratici, in questo ampio mare tra realtà dell'intelligence, del lobbismo di varia matrice, dei vari finanziatori, dei pianificatori, consulenti, ecc, e in quel complicato e plurimo insieme di rapporti dall'alto al basso e dal basso all'alto, ma anche tra canali non ufficiali bypassanti quelli ufficiali, complicità e favori trasversali, e così pure rivalità ambientali e personali. Quando vengono avviate simili macchine, e si sviluppano in un corso di tempo pluridecennale, il risultato non è che questo; a maggior tenendo conto pure del logoramento e della crescente disorganizzazione e divisione interna, coi vari apparati strategici occidentali al loro interno sempre più conflittuali tra loro a tutti i loro livelli.
Tutto questo per spiegare, oltre a come si componga la catena di comando e finanziamento delle varie reti negli anni create ed organizzate dalle agenzie d'intelligence attraverso tutti i propri apparati intermedi, anche il modo a vedersi spesso caotico del loro operare. Così in alcuni momenti anche le varie organizzazioni uigure hanno agito di propria iniziativa, o almeno così è sembrato ad alcuni (ma non tutti, ovviamente) degli ambienti che le sostenevano; pari pari, del resto, è stato fatto anche da tutte le altre al servizio di quegli ambienti, o da quest'ultimi in precedenza messe in piedi, come ad esempio le varie entità legate all'universo dei Free Tibet e del Governo tibetano in esilio di Dharamsala (o magari quelle mosse dalla Falun Dafa con tutta la sua vasta holding o ancora quelle del settarismo evangelico a sua volta declinato in mille rivoli, come ad esempio gli Urlatori o la Chiesa di Dio Onnipotente e relative e ben oliate appendici. Tali “errori” possono a volte comportare un momento di pausa in panchina, una sorta di temporanea e parziale “caduta in disgrazia” che in ogni caso vede ben presto seguire l'ora della rimonta: basta giusto saper aspettare. In altri casi, invece, si finisce in panchina perché il contesto politico del momento suggerisce di non avvalersi di certi ambienti e personalità come, ad esempio, quelli uiguri, preferendo invece mandare avanti altri al posto loro: dopotutto già con tutti quelli poc'anzi elencati nei vari uffici tra Washington e Londra (e non solo) hanno semplicemente l'imbarazzo della scelta.
Altre volte, però, si sceglie di mandarli avanti tutti insieme, o si lascia che lo facciano: prassi molto comune soprattutto a livello comunicativo, dove ogniqualvolta un'associazione umanitaria afferente ai gruppi uiguri o tibetani o d'altra sorta debba presentarsi in un consesso pubblico, magari istituzionale, anche tutti gli altri giocatori sono invitati a dar manforte. In quel caso, infatti, è fondamentale fare bella figura, mostrare a tutti un gran numero e non “i soliti quattro gatti”: così pur di raggiungere quelle masse critiche, diventa inevitabile mettere insieme gruppi Free Tibet, Falun Dafa, evangelici e uiguri nella stessa piazza, concentrati in una manifestazione dall'ambizione di passare alla storia come numeri. Tutte le varie organizzazioni umanitarie generiche vengono analogamente invitate, ricevono appelli e richiami dai gruppi suddetti, e non mancano a loro volta di mandare propri iscritti e sostenitori, attraverso un immenso tamtam comunicativo e mediatico che ne inonda i bollettini e le newsletters. Non capita tanto di rado, soprattutto all'estero, di vedere bandiere del Grande Turkestan uiguro (il macrostato fondamentalista che le loro organizzazioni sognerebbero di fare, provocando a mezzo terrorismo la secessione di varie regioni tra Xinjiang e paesi centrasiatici limitrofi) insieme a bandiere dell'antico Tibet lamaista, feudale e teocratico, inframmezzate magari da bandiere americane e dei vari partiti ed ONG partecipanti. Lo spettacolo è indubbiamente molto colorato, ma anche molto indicativo di quali siano i legami e le complicità tra organizzazioni solo apparentemente diverse tra loro, attive negli stessi obiettivi e dipendenti dagli stessi padroni.
Ma non è ovviamente soltanto questo l'unico caso in cui tali gruppi si trovano ad agire all'unisono. A seconda di chi decida per primo (ma in fin dei conti ha pure una relativa importanza, giacché come dicevamo gli ordini arrivano pur sempre da “ambienti superiori”, per quanto a volte non in piena linearità o coordinazione tra loro, dopo esser stati talvolta ma non sempre proposti anche dal basso e comunque sempre ai piani alti valutati per l'assenso finale: qua può magari succedere qualche pasticcio, se tali piani non concordano per bene tra loro, ma va da sé che non sempre ciò succeda), ecco che l'uno o l'altro decide di coinvolgere tutti gli altri in “fronti comuni” che, approfittando delle maggiori masse critiche e sinergie, possano a quel punto anche meglio portar avanti la comune causa di “comune azione” contro Pechino. Qualora se ne voglia un esempio, sempre a Monaco di Baviera in occasione del ventesimo anniversario a maggio del World Uyghur Congress (WUC) gli esponenti della Central Tibetan Administration hanno chiesto, per bocca del loro alto rappresentante Sikyong Penpa Tsering, d'unire gli sforzi nella “comune azione contro il PCC” (interessante notare come tutti, dai gruppi tibetani a quelli uiguri, passando per quelli evangelici o della Falun Dafa, e per concludere tutti gli ambienti giornalisti e culturali che li sostengono, non parlino mai di “governo cinese” ma dicano proprio, con allusione facilmente dispregiativa, “regime del PCC”, “Cina comunista” o altre cose del genere: è quasi una “cartina di tornasole” della loro comune appartenenza al medesimo mazzo).
Del resto, l'appello del rappresentante tibetano trova molti precedenti storici, visto che già il vecchio Presidente fondatore del WUC, Erkin Aptekin, e l'ex Inviato Speciale del Dalai Lama, Lodi Gyari, avevano abbondantemente collaborato in tal senso, proprio perché le loro organizzazioni messe in piedi da comuni padroni mirano anche a comuni obiettivi. Tali le parole pronunciate dal leader tibetano in quell'occasione, nella sua invocata “imperatività di una collaborazione”: “Considero gli uiguri, i mongoli, ora anche i manciù, i tibetani, gli hongkonghesi, i leader democratici in Cina e, se si vuole includere, anche Taiwan. Viaggiamo tutti sulla stessa barca contro la brutale tempesta della Cina comunista”. Nulla di nuovo, secondo anche un'altra “imperatività”, stavolta un po' più “aziendale”: quella di “massimizzare i profitti per meglio valorizzare gli investimenti”. Perché tutto il già descritto corollario d'agenzie d'intelligence, fondazioni economiche, reti e strutture varie costa assai; e, dopo che tutto quel gran fiume di denaro è stato speso, qualche risultato concreto a chi tiene i cordoni della borsa bisogna pur presentarlo.