Dopo la cocente esperienza del burrascoso ritiro dall'Afghanistan, l'Amministrazione Biden aveva momentaneamente preferito accantonare i gruppi uiguri, sui quali invece per portare avanti la propria agenda politica anticinese la precedente Amministrazione a guida Trump aveva fortemente puntato, insieme agli evangelici della Chiesa di Dio Onnipotente. Così, pur continuando a vedere nella Cina un rivale strategico da fronteggiare sostanzialmente al pari della Russia, la nuova Amministrazione democratica aveva mirato a riporre le sue priorità soprattutto sulla seconda, come ben presto testimoniato dalla rapida crescita delle tensioni tra Mosca e la NATO culminate infine nella guerra in Ucraina. Per tale motivazione, le varie organizzazioni uigure nel frattempo se n'erano rimaste buone, limitandosi a fare il proprio consueto “lavoro d'ordinaria amministrazione”; e così pure tutte le altre, evangeliche o tibetane o Falun Dafa che fossero.
D'altronde, per mantenere il fronte caldo con Pechino, Washington in quel momento puntava soprattutto su un ormai classico espediente già ampiamente collaudato sotto l'Amministrazione Obama di cui Biden era vicepresidente come quello delle tensioni intorno al Mar Cinese Meridionale e a Taiwan, oltre ovviamente all'arma delle sanzioni. Insomma, tutti gli altri “giocatori” in quel momento era bene che rimanessero in panchina, da usarsi solo nell'eventualità in cui i rapporti tra i due governi avessero preso una piega tale da renderlo necessario: erano le cosiddette “carte di riserva”. La guerra con la Russia, oltretutto, assorbiva pure molte attenzioni e risorse, lasciando ancor più tutti i vari gruppi succitati in attesa del “loro momento”: tranne ovviamente quelli spendibili in un simile contesto, come ad esempio certe branche esoteriche, sataniste o neonaziste dell'ampia galassia est-europea, indubbiamente funzionali ad alimentare presso determinati settori dell'opinione pubblica locale una propaganda o una chiamata a supporto a beneficio della macchina militare atlantista.
Ma alla fine anche per le organizzazioni uigure il momento del ritorno in campo è arrivato, con le prime chiamate già dalla scorsa primavera: qualche lettore ricorderà, in proposito, certi articoli dove già allora ne parlavamo. Dopotutto, ormai da tempo risultava chiaro quanto poco soddisfacente potesse essere l'andamento della guerra in Ucraina agli occhi di molti ambienti occidentali, tanto da renderne più plausibile una conclusione nell'anno successivo. A quel punto Washington, bisognosa d'operare maggiori pressioni su Pechino, li avrebbe nuovamente sguinzagliati restituendogli la perduta priorità. Inoltre, proprio per i bilanci non proprio convincenti riportati nel ritiro dall'Afghanistan, nella guerra in Ucraina e in quella in Medio Oriente, risultava pure chiaro che non sarebbero stati di certo i Democratici a vincere le ormai vicine Presidenziali, ma i Repubblicani col candidato Trump, di cui per varie e note ragioni tutte queste organizzazioni non potevano non avere un buon ricordo. Così, già da allora tutti questi gruppi, uiguri ed evangelici per primi (ovvero proprio quelli sempre più attivi nella precedente Amministrazione Trump), hanno cominciato a riattivarsi, a moltiplicare le loro iniziative, anche coordinandosi con tutti gli altri. Un primo segnale s'è potuto vedere ad esempio nello scorso novembre, proprio con l'Ottavo Congresso del World Uyghur Congress (WUC), a Sarajevo, in quella Bosnia che in fatto di nazional-fondamentalismo ed islamismo militarista ha vissuto pagine tra le più dure degli Anni ‘90, facendo da laboratorio di quel modello poi diffusosi anche altove, dagli stessi Balcani al Caucaso, e ancora più ad Oriente, nel cuore dell’Asia Centrale.
In quell'occasione l'ormai storico Presidente del movimento, Dolkun Isa, è stato rimpiazzato dal suo erede “politico” Turgunjan Alawdun, coadiuvato da tre vicepresidenti non meno importanti, oltre a Rushan Abbas eletto a nuovo segretario del Comitato Esecutivo: tutte queste figure, è bene notarlo, sono rappresentative della cosiddetta “Diaspora uigura” sparsa tra Stati Uniti, Germania e Turchia, oltre ai suoi storici serbatoi di provenienza in Asia Centrale, come ad esempio il Kazakhstan e gli altri Stati centrasiatici della CSI. Risiedono in quei paesi, dove incarnano i vertici delle organizzazioni uigure locali, e tramite le loro strutture attingono al vasto serbatoio dell'opinione pubblica locale. Le ampie comunità turco-musulmane in Germania, ad esempio, vengono viste come una potenziale e generosa fonte quando di reclute, quando d'appoggi politici od associativi, o ancora di consenso; non di meno si punta a farlo nelle comunità di migranti turcofoni o musulmani in altri paesi europei, o nella Turchia che ugualmente ne ospita molti, e via dicendo. Va da sé che solo una parte di tutti questi rifugiati siano in realtà uiguri e kazaki dello Xinjiang: ma fa parte degli interessi portati avanti da queste organizzazioni, che molto lucrano proprio sull'accoglienza dei rifugiati e su tutte le relative cause umanitarie che vi si ricollegano, far sì che sempre per tali siano “contrabbandati” agli occhi delle nostre istituzioni, anche se in realtà provenienti da altre aree o nazioni dell'Asia Centrale e del Medio Oriente.
Più o meno in quei giorni dagli Stati Uniti giungevano alcune interessanti novità, certamente molto gradite alle organizzazioni uigure come il WUC: con la vittoria di Trump alle Presidenziali, veniva da questi ben presto annunciata l'intenzione di nominare nuovo Segretario di Stato nella sua Amministrazione un'altra loro apprezzata conoscenza come il Senatore della Florida Marco Rubio. Molto legato alle comunità latinoamericane della Florida e a quella cubana in particolare, in Italia Rubio è soprattutto noto per il sostegno espresso a favore di certi duri provvedimenti contro paesi come Cuba e il Venezuela; ma anche il suo approccio verso Pechino non è tanto dei migliori. Gran sostenitore dei proclami più indipendentisti sul conto di Taiwan, e degli elementi più radicali delle rivolte ad Hong Kong, nel corso della sua attività politica non ha comunque mancato di porre il proprio occhio benevolo anche sulla “causa uigura”. Così, da membro della Commissione Congressuale Esecutiva sulla Cina (ennesima agenzia del governo americano dedita in modo bipartisan ad ingerire negli affari interni di Pechino dietro pretesti di sorveglianza dello stato dei diritti umani), ha fortemente caldeggiato l'adozione di un provvedimento come l'Uyghur Forced Labor Prevention Act (Provvedimento HR 6256 del 2021) che in essenza ha preparato il terreno a tutte le analoghe sanzioni a quel punto adottate anche in Unione Europea.
Dopotutto, abbiamo già accennato negli ultimi articoli di come tutte le varie organizzazioni uigure servano, tra le tante cose, anche a fornire materiali e testimonianze fabbricate con cui forzare in Europa l'adozione di quei provvedimenti tesi a scollegarla dalla Cina con pretesti interessati e fasulli, e prima ancora ad ottenere il medesimo risultato anche negli stessi Stati Uniti. Insomma, dietro le varie agenzie d'intelligence americane c'è un ben più vasto mondo lobbistico pubblico e privato che guarda unicamente agli interessi delle proprie tasche. Che poi vari politici come Rubio così come tanti altri ambienti e gruppi, a cominciare da quelli uiguri, ugualmente ne traggano a quel punto economicamente vantaggio, è analogamente cosa più che intuibile e palese. Insomma, in quei giorni giungevano davverro tante buone motivazioni per il WUC e le altre organizzazioni uigure per rimettersi di buona lena al lavoro.
Pure tutto il vasto corollario di pubblicisti, divulgatori ed accademici attivi nel diffondere contenuti a supporto della “causa uigura” hanno ripreso a muoversi più attivamente che mai, o a tornare a parlare di quegli argomenti dopo che per molto tempo s'erano “distratti” su altre più fruttuose campagne umanitarie e comunicative. Ecco che più o meno in quel periodo debuttava un nuovo libro di Susan Palmer, Dilmurat Mahmut e Abdulmuqtedir Udun, “Donne Uigure nella Diaspora, Ristabilendo un Genocidio”, curiosamente presentato proprio a Washington, in una sede non proprio “insospettabile” come Capitol Hill. Insomma, una ripartenza delle organizzazioni uigure a pieno sprint, a riprova di quanto grande ed immediato sia stato il sostegno subito dato loro non appena si sono consolidate le condizioni ideali per un loro ritorno in campo. Hanno a lungo atteso in panchina ma alla fine, come già raccontavamo mesi fa, il “loro momento” è arrivato: e ora vogliono giocarselo fino in fondo, per recuperare tutto il terreno perduto. E, ovviamente, anche tutti i relativi incassi…