A metà giugno il Tribunale di Roma ha accolto la richiesta di asilo politico di una cittadina di provenienza cinese, legata alla nota Chiesa di Dio Onnipotente (CDO) dal 2013. La notizia in sé non costituisce proprio un grande scoop, dal momento che va ad inserirsi in una tendenza ormai consolidatasi negli anni e le cui varie puntate più volte abbiamo riportato nel nostro portale. Ad esempio nel 2018 era stata un'altra fedele della CDO ancora a veder accolta la sua domanda d'asilo, dopo un iter giudiziario durato un anno e mezzo; legata alla setta dal 2011, aveva lasciato il proprio paese nativo dopo il 2015. Allora come stavolta s'è vista l'assistenza dei medesimi avvocati, specializzati in materia d'immigrazione, trovando la buona sintonia di giudici vicini sì a simili posizioni, ma anche intuibilmente decisi a risolvere il prima possibile quella come tante altre innumerevoli cause che hanno in lista d'attesa.
A ritrovarsi coinvolta stavolta era stata una donna dello Shanxi, giunta in Italia nel 2018; esattamente come nell'altro caso, la sua causa è stata assistita come già detto dai medesimi avvocati, legati ad una delle varie associazioni attive in materia d'immigrazione e diritti umani e dalla favorevole disponibilità dei giudici; mentre, a fornire il materiale documentale necessario a sostenere l'accoglienza della domanda d'asilo, hanno provveduto altri noti operatori ancora, stavolta nel campo della ricerca e della pubblicistica in materie di movimenti religiosi e libertà religiose. Parliamo in generale, tanto nel primo quanto nel secondo caso, di varie realtà che spaziano dal Progetto Melting Pot al giornale online Bitter Winter, che su tali tematiche com'è noto sono da tempo piuttosto attivi e determinati. Non costituiscono dunque uno scoop neppure le loro posizioni, che ovviamente nessuno contesta, dato che come in tante oltre occasioni esaminate si tratta pur sempre di un pieno e sacrosanto esercizio di diritti costituzionali come quelli d'espressione, stampa ed informazione. Dopotutto siamo da sempre i primi a ricordarlo, pur invitando al contempo anche a maggior cautela e ponderazione nel consacrare certe considerazioni.
Proprio per questo motivo anche il parere contrario ha pieno diritto a poter esser ribadito e garantito: e qua ne approfittiamo per introdurre una serie d'osservazioni che lasciano pensare che, come avvenuto anche in altri casi, spesso e volentieri sul fenomeno migratorio si ricorra anche a non del tutto caldeggiabili scorciatoie. Se ad esempio per molti richiedenti asilo provenienti da paesi subsahariani alcune associazioni che li assistevano, insieme a certa stampa di settore, hanno alimentato la prassi di confonderli per cittadini di un paese anziché di un altro per poter ricorrere alle vie preferenziali che in quel caso venivano garantite (celebre il caso di molti “sedicenti” eritrei che poi si scoprivano eritrei non esser affatto, e così gambiani ed altri ancora), per i richiedenti asilo provenienti dalla Cina il metodo più comune è stato quello di dubitare della qualità dei controlli ai documenti identificativi da parte degli agenti locali a causa della corruzione o di citare notizie più volte fatte circolare con insistenza in Occidente, benché mai verificate e non di rado smentite, circa controlli polizieschi in questo caso invece assai efficienti nelle scuole o tramite sistemi elettronici. Del resto, come anche per gli immigrati d'origine subsahariana, le motivazioni su cui le stesse autorità europee e nazionali stabilivano le corsie preferenziali per quanti all'arrivo si dichiarassero di questo anziché quel paese si basavano su informazioni più volte smentite benché ben affermate presso molta stampa generalista o di settore, malgrado proprio la contraddittorietà che le caratterizzavano.
Inoltre, chi avrà avuto a che fare anche soltanto con semplici cause civili od amministrative saprà come, nella maggior parte dei casi, il loro iter sia soprattutto una pesante questione burocratica, dove i giudici si trovano ad accogliere od archiviare i dossier di volta in volta posti davanti a loro, non certo per disinteresse ma per enormità della mole di lavoro che grava sulle loro spalle. Trovandosi a gestire più cause alla volta, i magistrati di vario grado quando aprono un dossier non possono augurarsi di meglio che una sua rapida e definitiva risoluzione, in modo da alleggerire un carico di lavoro tutt'altro che indifferente. Gli organici dei tribunali sono ben al di sotto del necessario, e questo spiega da una parte la lunga durata di certe cause che possono trascinarsi per anni con grande dispendio di risorse così come la fulmineità con cui in altri casi possono invece risolversi, intuibilmente non sempre con gran soddisfazione di questa o quella parte. Unendo insomma tutti insieme questi vari elementi, non appare quindi difficile comprendere né la facile prevedibilità con cui certe cause possano concludersi né l'altrettanto facile trionfalismo con cui il loro verdetto venga accolto dai diretti interessati.