Una domanda che sicuramente molti lettori ogni tanto si fanno riguarda l'identità di chi guida le varie campagne sui diritti umani nel nostro paese. Naturalmente questa domanda comporta una risposta piuttosto vasta, ma cercheremo di sintetizzarla il più possibile senza troppo sacrificare i dettagli.
Innanzitutto, quel che si fa in Italia non è molto diverso da quel che si fa nel resto d'Europa, e diciamo più in generale dell'Occidente. Questo perché ne siamo parte, anzi, ne siamo addirittura un tassello fondamentale, uno dei paesi più strategici per via della sua collocazione geografica e non solo. Non dimentichiamoci poi delle oltre sessanta basi NATO presenti sul nostro territorio, e si sa benissimo quali siano i paesi più influenti nella gestione della NATO. Non dimentichiamoci nemmeno della nostra appartenenza all'UE, e pure in questo caso sappiamo benissimo quali sono i paesi e i poteri economici che maggiormente la influenzano e sotto quale "ombrello" politico e militare sia sorta così come in precedenza sorsero tutte le altre istituzioni comunitarie. Siamo un importante crocevia fra Europa Continentale e Mediterraneo, un trampolino verso il Nord Africa e più in lontananza verso il Medio Oriente e l'Africa Subsahariana. Inoltre, siamo anche un importante crocevia fra Mediterraneo Orientale ed Occidentale, fra penisola balcanica e penisola iberica.
L'Europa, e in questo caso più specifico l'Italia, sta molto a cuore a chi la controlla, e dalla fine della Seconda Guerra Mondiale coloro che esercitano questo controllo sono gli Stati Uniti, la cui influenza sul Continente ha conosciuto un'ulteriore estensione con la successiva caduta della controparte sovietica e l'assorbimento dei paesi un tempo parte del Patto di Varsavia e del Comecon nella loro area d'influenza, e quindi NATO e UE. L'indebolimento di questo controllo statunitense sull'Europa, presentatosi a partire dagli Anni 2000 e successivi, ha conosciuto alcuni momenti di accelerazione e successive battute di arresto, e per il momento appare ancora troppo "relativo" perché possa assumere un livello d'irreversibilità. Non di rado gli Stati Uniti, mettendo a segno le mosse giuste, sono riusciti a riguadagnare parte del terreno perduto, o a guadagnarne di nuovo con gli interessi, magari per un periodo di tempo limitato o più duraturo. Ciò è stato possibile grazie anche alle divisioni fra i vari paesi europei, alle loro crisi interne così come alla crisi generale di tutta l'area europea nel suo insieme, che in alcuni momenti appariva tale da far riflettere sull'aspettativa di vita del suo attuale assetto comunitario.
I diritti umani sono diventati, negli ultimi anni, uno dei nuovi cavalli di battaglia degli Stati Uniti e dei vari gruppi politici, culturali e mediatici filoamericani in Europa e in Occidente, da usare contro quei paesi di volta in volta individuati come nemici da combattere. In tali paesi, per Washington e i suoi alleati, si fa pertanto ancor più impellente creare, coltivare e sostenere gruppi di persone che propagandino e diffondano questioni sui diritti umani tese ad infangare i loro rispettivi governi nazionali, col fine di destabilizzarli dall'interno e di demoralizzarne l'opinione pubblica e le istituzioni. E' avvenuto a più riprese in vari paesi mediorientali, fino al culmine delle Primavere Arabe, in vari paesi dell'America Latina, dell'Europa dell'Est e dell'Asia Centrale con le Rivoluzioni Colorate, ma vi sono stati casi analoghi anche nel cuore del Continente Africano. Ciò non poteva non avvenire, sempre a più riprese e con un ritmo che appare ormai in crescendo, anche in paesi come la Cina e la Russia, oggi considerati dagli Stati Uniti e dai loro partner europei come i principali avversari al mantenimento del loro status quo e dei loro interessi.
Gli ultimi fatti riguardanti la Bielorussia come le vicende politiche interne in Russia parlano abbastanza chiaro, e così anche le "rivoluzioni colorate" ed ugualmente fomentate dall'esterno a Hong Kong nel caso della Cina, a tacere poi di questioni ormai consolidatesi nei nostri media e nella nostra politica come le campagne sul rispetto dei diritti umani nello Xyzang-Tibet, nello Xinjiang e in altre aree interne cinesi. Anche le questioni relative alla libertà religiosa, ovviamente facenti parte della più ampia tematica dei diritti umani, non sfugge ovviamente alle attenzioni dei solerti funzionari e propagandisti statunitensi ed occidentali in generale.
In Italia sono note le attività dei Radicali, che da partito politico ben presto si sono poi trasformati in una realtà associativa molto più trasversale, capace pertanto di risiedere al contempo in più partiti politici al tempo stesso, del centrodestra o del centrosinistra che siano, a tacer poi della presenza e dell'ospitalità facilmente ricevuta anche in altre istituzioni nazionali. Detenendo una sorta di "quasi monopolio" sulle questioni dei diritti umani e dettando così un'agenda politica "bipartisan" a tutte le varie forze politiche presenti in Parlamento, quando si tratta di parlare di diritti umani in Cina o in Russia, ma anche in altri paesi, appaiono immediatamente come un'autorità inattaccabile ed indiscutibile. La loro lista elettorale, quando si presenta alle elezioni, raccoglie sempre pochi voti, ma la loro influenza sul dibattito politico e culturale nel paese è ben maggiore rispetto a quello di forze politiche che, alle elezioni, fanno man bassa di consensi oltre a riempir facilmente le piazze.
I Radicali costituiscono un gruppo di pressione notoriamente filoamericano, ma non sono certo gli unici a vantare questa caratteristica. Nel corso degli anni sono nate per esempio numerose ONG, spesso attive soprattutto verso questo o quel paese o su questa o quella tematica, e che hanno affiancato quelle ormai storiche ed internazionali come Amnesty International o Human Rights Watch. Anche il mondo cattolico fa la sua parte, con importanti associazioni collegate alla Comunità Episcopale Italiana, e così fanno anche i singoli partiti e sindacati politici, con le tante associazioni apparentate alla rete dell'ARCI, alle COOP, al PD e alla CGIL. Insomma, ognuno fa la sua parte, ricoprendo tutti gli spazi visibili.
Ma la "gola profonda" da cui tutti questi movimenti traggono ispirazione è sempre oltreoceano, e come impartisce argomenti ed obiettivi ai movimenti italiani così lo fa anche per quelli del proprio paese e del resto d'Europa, fino a raggiungere anche le realtà più "esterne" o "remote", a cominciare proprio dai paesi "nemici". Questa "gola profonda" è, nel caso della libertà religiosa, l'USCIRF, ovvero la Commissione degli Stati Uniti sulla Libertà Religiosa Internazionale, le cui attività come in tutti gli altri casi sono tranquillamente monitorabili anche da internet, tramite il suo portale ufficiale. Il Report Annuale per il 2021, per esempio, è liberamente scaricabile e leggibile da qui, e nelle sue oltre cento pagine merita sicuramente un po' di studio approfondito.
Neanche a farlo apposta, i paesi messi all'indice da questo report sono sempre i soliti, quelli contro cui si scatena sempre tutto lo zelo della politica statunitense ed europea: non soltanto Cina e Russia, ma anche Cuba e Nicaragua, oltre ad Afghanistan, Algeria, Azerbaigian, Egitto, Indonesia, Iraq, Kazakistan, Malesia, Turchia ed Uzbekistan. Altre "vecchie conoscenze" sono Birmania, Eritrea, Iran, Nigeria, Corea del Nord, Pakistan, Arabia Saudita, Tajikistan e Turkmenistan. Vengono "lodati" alcuni progressi in Bahrain, Repubblica Centroafricana e Sudan, dove guardacaso sono nel frattempo giunti al potere gruppi politici considerati più amichevoli (è il caso del Sudan) o dove molto semplicemente sono stati superati i momenti di maggior criticità per la di per sé non molto stabile dinastia regnante locale.
Al contempo, vengono indicati anche quali saranno i paesi su cui maggiormente concentrare le attenzioni in futuro: il messaggio neanche troppo tacito, per i professionisti che leggeranno il report, è dunque ben evidenziato. Ecco che per esempio si parla del peggioramento delle condizioni in Pakistan, paese di cui effettivamente i media occidentali negli ultimi mesi hanno cominciato ad occuparsi con maggior puntualità. Ma, in ogni caso, sono sempre Russia e Cina a prendersi la cosiddetta "parte del leone".
Nel caso della Russia, oltre alle questioni relative ai rapporti tra le autorità ed alcuni settori del Cristianesimo Ortodosso, domina quella del sempre più acceso confronto con sette come quella dei Testimoni di Geova, così come quella di Scientology, contro la quale anche il governo kazako negli ultimi anni ha dovuto cominciare a prendere dei sempre più seri e comprensibili provvedimenti. Entrambe, com'è ben noto, nate negli Stati Uniti e conseguentemente anche molto care ed influenti in patria.
Nel caso della Cina, invece, la posta in gioco si concentra soprattutto sui movimenti islamo-fondamentalisti uiguri dello Xinjiang, a favore dei quali l'attivismo in Occidente è già oggi molto, ma anche su quella del Buddhismo Tibetano e del Cristianesimo soprattutto Protestante, così come di sette ormai da tempo al bando come il Falun Gong e la Chiesa di Dio Onnipotente, fino ad arrivare anche a movimenti cristiani minoritari e difficilmente identificabili come le tante "chiese casalinghe" o "domestiche". Va da sé che vi sia anche un forte rinnovo della condanna per l'accordo fra il Vaticano e il governo cinese del 2018, guardato con ostilità dagli Stati Uniti così come dall'attivismo politico e mediatico occidentale attivo sul tema dei diritti umani perché ai loro occhi andrebbe a comportare una nuova ed ulteriore legittimazione di Pechino a loro danno. Anche il report dell'anno precedente, d'altro canto, aveva prevedibilmente dato giudizi fortemente negativi su tale accordo.
Come possiamo notare, sono proprio le stesse identiche cose che molti nostri media, su internet, alla televisione e sulla carta stampata, insieme a molti nostri politici, ci propinano da ben più di un anno a questa parte.